di Pierre Yelen - Sono più di 30 anni che atterro in questo aeroporto: è sempre lo stesso. Al centro della città, con una pista al limite della lunghezza minima, con qualche cartello pubblicitario in più.
La differenza è nel nome, si chiama “aeroporto Thomas Sankara”: un giusto riconoscimento al giovane Presidente rivoluzionario che aveva alimentato la speranza d’emancipazione di un’intera generazione di africani. Assassinato il 15 ottobre 1987, dopo 27 anni d’oblio è stato finalmente riabilitato anche nella memoria collettiva dei giovani burkinabé.
Per uscire, il percorso è sempre lo stesso. Si scende dall’aereo, si sale su un autobus, si arriva all’aerostazione.
La fila per i vari controlli, però, questa volta è più lunga del solito.
Subito dopo la porta d’ingresso, un signore in camice bianco, invita tutti i passeggeri a lavarsi le mani con una specie di amuchina. Fornisce una scheda da riempire: non è la stessa di sempre. E’ del Ministero della Sanità e nella parte relativa all’anagrafica è stata aggiunta una richiesta d’informazione: “indicare i Paesi nei quali si è soggiornato/transitato negli ultimi 14 giorni”.
Arrivo dalla Tunisia ma una settimana fa ero ancora in Italia, prima che “scoppiasse” il coronavirus. Comincio ad inquietarmi.
Bisogna riempire anche una seconda parte - “Informazioni sull’infezione COVID-19”- e bisogna rispondere ad una serie di domande, la prima è “avete soggiornato nelle ultime due settimane in un Paese toccato dal conoravirus?”.
L’inquietudine diventa allarme.
Non ho vissuto in Italia negli ultimi giorni. Non ho toccato con mano il clima del Paese. Le notizie le ho acquisite dai siti online dei giornali italiani e dai telegiornali internazionali. Non capisco bene se siamo realmente di fronte al rischio di pandemia, di cui parla qualche esperto, oppure ad una psicosi collettiva per una influenza semplicemente più virulenta delle altre, come dice qualcun altro.
Comincio a temere una quarantena in Burkina Faso.
Il primo controllo è quello sanitario, come al solito. Mostro il passaporto ed il libretto della vaccinazione della “febbre gialla”. Tutto ok.
L’addetto m’invita a presentarmi al secondo sportello per la verifica del visto d’ingresso. Tutto ok.
Vado quindi al controllo passaporto ed al ritiro bagaglio. Tutto ok.
Finalmente esco dall’aeroporto.
La mia collega che stava ad aspettarmi, tra il serio ed il faceto mi domanda: “ti hanno fatto entrare nonostante il conaravirus? Meno male che non dovevi andare in Palestina. Ho sentito che a Tel Aviv ti avrebbero respinto e rimandato in Italia! Israele ci tratta come untori!”.
Benvenuto in Burkina Faso, la terra degli uomini integri.
26 febbraio 2020