di Pierre Yelen - Quando posso vado all’Eldorado. Un bar di Zogona, nella capitale.
Si può mangiare una frittata, un fagotto al cioccolato, bere una spremuta d’arancia ghiacciata. La vitamina C non guasta mai al tempo del coronavirus!
Il servizio è lento ma c’è l’aria condizionata. Un giovane la preserva: apre e richiude la porta d’ingresso, con accuratezza, ogni volta che entra un cliente. Voilà, l’efficienza e l’efficacia che marciano nella stessa direzione!
Il caldo comincia a farsi sentire, anche se nell’aria si intravede ancora l’effetto dell’harmattan. Continua a soffiare da nord-est su tutto il Sahel, con il suo carico di polvere, nonostante sia già cominciato marzo. Questa mix di fine harmattan ed inizio caldo è un cocktail fastidioso: temperature alte e vento che porta polvere!
Una spremuta d’arancia ci sta proprio bene.
All’Eldorado c’è anche la “mazzetta” dei giornali. Leggo il Sydwaya, ci sono affezionato, l’Observateur, anche se ci sono troppi annunci, Le Pays che si concentra sulle interviste agli uomini politici di rilievo, per le presidenziali di novembre prossimo. Un’occhiata alla televisione da 42 pollici, sempre accesa, che trasmette sintesi di partite di calcio, e fortunatamente non solo del campionato francese, e il notiziario di France24.
Attrae la mia attenzione la notizia nella striscia inferiore della televisione: “il governo italiano decide di chiudere le scuole e le università fino al 3 aprile”. Cerco qualche riscontro sui giornali, niente. Come al solito.
Sono partito dall’Italia che la discussione sul coronavirus era centrata sul chiudere o meno l’ingresso ai cinesi. Non c’era ancora stato un caso d’infezione conclamato. Oggi lo scenario è cambiato: su repubblica.it leggo di primi morti.
In Burkina Faso, però, il coronavirus non esiste. La gente comune non ne parla, i governanti non ne parlano, i giornali non ne parlano, nessuno ne parla.
Il coronavirus non esiste nell’immaginario collettivo.
Alcuni dei miei colleghi burkinabé, che ascoltano Radio France Internationale e vedono i canali esteri della televisione, ne sono informati. Associano il coronavirus all’Italia, dopo la Cina. Come gesto di cortesia mi chiedono notizie. Si, il virus si sta estendendo, ma la maggior parte delle vittime sono persone anziane, gli racconto per tranquillizzarli, o per tranquillizzarmi?
A pranzo con Lucien, vecchio amico economista che dirige un “centro studi” a Ouagadougou, approfondiamo la riflessione. Cito i dati pubblici relativi ai primi 100 decessi: età media di 81 anni e spesso - due su tre - con altre patologie gravi. Il suo sguardo è più eloquente di qualsiasi commento. Quando capisce, però, che anch’io ipotizzo lapalissianamente che ci sarebbero potute stare le stesse vittime, anche con un’influenza ordinaria, perde il suo pudore e si lascia andare: “voi bianchi siete veramente incredibili… Tutta questa preoccupazione, fino al blocco del Paese, per un centinaio di persone anziane che muoiono d’influenza … Quindi, non potremmo nemmeno vedere Juve-Inter stasera ma t’invito lo stesso, trasmettono Real Madrid-Barcellona!”. Due piccioni con una fava! Non avrà sensi di colpa nei miei confronti, non mi negherà di vedere il derby d’Italia, e vedrà la partita che avrebbe comunque voluto vedere!!!
In sintesi, il coronavirus è “chose de blancs”, che tradotto dall’”africanese” : è una cosa assolutamente insignificante di cui solamente i bianchi - che notoriamente non sono normali!?! – possono preoccuparsi.
Non è così.
Allo stesso modo, però, non sono convinto che l’approccio corretto, le riflessioni sagge e le scelte giuste siano sempre da una parte sola, la nostra.
8 marzo 2020