di Pierre Yelen - Coca cola e spiedini di pecora, conditi con polvere di peperoncino e zenzero; il pranzo è servito. Yacouba arriva per ultimo, stiamo già mangiando. Ci porta notizie e fa una proposta. Un commerciante del posto gli ha consigliato di non tornare indietro, per rientrare a casa; continuare invece verso Leo e poi risalire, sulla strada asfaltata. In questo modo entreremmo in capitale da sud-est, evitando d’attraversarla in direzione ovest-est, all’ora di punta. Guadagneremmo un’ora di viaggio, evitando il traffico della città. I chilometri sarebbero gli stessi dell’andata, anche quelli da percorrere sulla strada sterrata.
Yacouba insiste: non conviene tornare indietro. Alle h.18 saremmo già a casa. Un’ora per Leo, 60 km di pista, due ore scarse d’asfalto fino a Zogona. Approvazione collettiva, ci ha convinto facilmente. L’appetito ed il caldo, quietati sotto la tettoia di rami secchi e culmi di miglio intrecciati, hanno disincentivato qualsiasi discussione.
Decidiamo di partire. Salutiamo Gerard, che rientra a Sabou. Sono quasi le h.15.
Passato velocemente il primo chilometro, subito fuori Gao, il viaggio comincia a complicarsi. Buche enormi e rami secchi sulla carreggiata. Una frana restringe la pista ad una sola corsia, almeno per un chilometro. Nella strettoia non incrociamo nessuna vettura; fortuna o pista poco utilizzata? Quando dopo una trentina di minuti vedo un cartello che segnale il limite di velocità a 20km/h domando a Yacouba se la scelta della pista fosse quella giusta. Me lo conferma, trattasi solo di un vecchio cartello stradale semi arrugginito. Dopo un’ora incrociamo la prima autovettura.
Ancora frasche sulla pista, questa volta tagliate da poco; uno, due, tre… intravediamo un camion fermo in mezzo alla strada. Due persone sono sdraiate sotto la cabina di guida, all’ombra. Non necessitano d’aiuto; aspettano il pezzo di ricambio per la riparazione del camion, da ieri sera! Ci confermano che a Leo mancano 40 chilometri. In un’ora di viaggio ne abbiamo percorsi 20!
È tardi per tornare indietro.
Nella speranza che lo stato della pista migliori, proseguiamo. Le buche diventano sempre più larghe e profonde, obbligano la 4x4 ad acrobazie vere, per procedere. Sembra che siano passati i B52 da poco ed abbiano scaricato tutta la loro “mercanzia”. In alcuni tratti sono piccoli crateri dove l’auto si inabissa e riemerge come il Titanic prima di affondare. In altri tratti è la continuità della sabbia che suggerisce a Yacouba di uscire dalla pista rossa e percorrere il sentiero della savana. L’ancoraggio alla maniglia della vettura diventa sempre più energico per cercare, a fatica, di mantenere la posizione sul sedile: la mia schiena non è per niente contenta!
Sono quasi tre ore di viaggio. Abbiamo incrociato qualche contadino in bicicletta con la daba legata sul portapacchi, piccoli gruppi di contadine a piedi con la legna sulla testa, ed ancora commercianti in moto con carichi improbabili, 4 o 5 automobili.
Arriviamo a Leo. Siamo sulla strada asfaltata. Il cartello indica 206km per la capitale. È quasi sera. La polvere è dappertutto nell’abitacolo. Le camicie madide trasudano stanchezza. Guardo Yacouba senza proferire verbo; sosta obbligatoria. Beviamo acqua e sgranchiamo le gambe.
Sono le h.18.30. Riprendiamo … saremo a casa tra 3 ore? … inch’allah!.
Non parla nessuno, è buio, velocemente viaggiamo sull’asfalto verso casa. Dal finestrino, mentre intravedo le lucine delle case dei contadini sparse nella savana, ripenso alla pista appena lasciata. L’immagino a luglio-agosto-settembre, con la pioggia battente ed il fango che persiste per tre mesi. È la stagione delle piogge che coincide con il periodo di “soudure”. Il più critico per le famiglie rurali; quando i granai si svuotano e può esserci bisogno dell’aiuto alimentare. Sacchi di riso e di miglio vanno distribuiti anche nei villaggi più remoti. Caricati sui camion percorrono le piste e poi le stradine più piccole fino ai sentieri dei villaggi. Spesso non ce la fanno. Non arrivano. Si impantanano, si rompono, rimangono bloccati. Le distribuzioni dei sacchi, allora, si fa lungo le arterie principali. I capi famiglia se li caricano sulle biciclette, le donne aiutano trasportandoli spesso sulle loro teste, a piedi. Così fanno chilometri, per sfamare chi è rimasto al villaggio isolato: i bambini, i vecchi.
Anche con “l’aiuto” a disposizione, la sicurezza alimentare può essere irraggiungibile con queste strade impossibili!
30 aprile 2020