microcredito

di Pierre Yelen - Recovery Fund è oggi il mantra dei governanti europei. Risorse per affrontare al meglio una grave situazione economica contingente, il post Covid19.

Servirebbero risorse anche alle aree povere del pianeta dove l’emergenza, invece, è lo status di normalità. In queste zone dell’Africa saheliana, infatti, non si discute di migliaia, né di milioni, né tantomeno di miliardi di euro. Quando ci sono, i sostegni finanziari alle comunità rurali sono di qualche centinaio di euro; qualche decina per singolo beneficiario. L’eccezionalità del “coronavirus” non sta mutando la dimensione di questi aiuti che, comunque, favoriscono la creazione di piccole attività economiche che generano, a loro volta, fenomeni di resistenza alla povertà estrema.

In questo contesto opera Micro Start. Un’associazione locale di donne che persegue l’obiettivo di sostenere altre donne, le più povere dei villaggi rurali, garantendo loro l’accesso al credito, al microcredito per la precisione. Non chiede garanzie reali per i prestiti - d’altronde non potrebbe mai esigerle per la condizioni d’estrema povertà delle beneficiarie - ma chiede partecipazione, condivisione degli obiettivi e corresponsabilità nella restituzione.

I fondi che presta, nella maggior parte dei casi, provengono dal mondo della cooperazione allo sviluppo, in particolare dagli ambiti delle ONG internazionali. Il recupero dei crediti è ottimale.

Micro Start offre una grande opportunità alle donne rurali che, generalmente, ne approfittano in maniera positiva. I prestiti ricevuti sono utilizzati con saggezza: per la creazione delle cosiddette “micro-micro-imprese” di piccolo commercio, di produzione e vendita di prodotti alimentari, d’artigianato, d’orticoltura. Con i ricavi riescono a garantire anche tre pasti al giorno ai bambini della famiglia e, spesso, a pagare pure una quota parte delle spese di prima scolarità.

Un sistema, quindi, che funziona nella lotta contro la povertà.

A Kyon, nella Regione del Centro-Ovest, tuttavia, qualche ingranaggio del meccanismo s’è inceppato.

Micro Start ha spiegato le potenzialità del microcredito ed ha raccolto, come al solito, l’interesse e l’adesione delle donne del villaggio; ha validato le idee progettuali ed ha definito la lista delle beneficiarie. Al momento della distribuzione, però, alcune non hanno potuto certificare la loro identità perché prive di qualsiasi documento. Molte, anche giovani donne, erano prive pure dell’atto di nascita. Mai registrate.

Per favorire la partecipazione al programma di microcredito, sono state invitate ad andare in Comune, distante solo qualche km, per richiedere i documenti ed accedere quindi al prestito. Impossibile.

La mancanza di risorse per affrontare le “spese di viaggio”, il cui spostamento avrebbero comunque fatto a piedi, è stato enunciato come l’impedimento formale; nei fatti, però, le donne sono state frenate dalla convinzione dell’inutilità della carta d’identità. “A che mi serve? Mi conoscono tutti al villaggio, non ho bisogno di mostrare un pezzo di carta a nessuno”, conferma Bernadette, venticinque anni, che non può concepire un orizzonte geografico della propria vita fuori dal villaggio nativo. Nelle sue relazioni sociali non ha mai avuto bisogno della carta d’identità.

I differenti parametri di riferimento spiazzano anche Micro Start che comincia a riflettere su un nuovo profilo d’aiuto, più integrato al contesto di riferimento. Continuare a puntare sulla sola “opportunità della microfinanza” non è sufficiente per combattere efficacemente la povertà.

 

1 agosto 2020

 

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