Nata in Ecuador, trasferitasi nel nostro Paese all'età di quattro anni, Renata oggi studia relazioni internazionali e cooperazione allo sviluppo dell'Università per Stranieri di Perugia e collabora con Tamat.
Insieme al Presidente di Tamat Patrizia Spada, ha preso parte lo scorso 23 ottobre alla tavola rotonda organizzata da dall'Università per Stranieri di Perugia in collaborazione con Progetto LINCS - Language Integration and New Communities in a Multicultural Society (finanziato da Irish Research Coucil and Marie Skłodowska- Curie Actions), raccontando il suo percorso personale e formativo e gli sbocchi che questi le hanno permesso di avere.
Abbiamo deciso di condividere la sua storia con voi e così l'abbiamo intervistata.
Dunque conosciamola!
Renata, parlaci un po' di te.
Mi chiamo Renata, come tutti i latinoamericani ho un nome lunghissimo…infatti il nome completo sarebbe Renata Nicole Gamboa Gomez. Vivo in Italia da tantissimi anni, sono 18/19 anni che sono qui…ormai ho perso il conto (sorride). Ho fatto tutte le scuole a Perugia, dalla scuola materna all’Università, e ora spero di riuscire ad entrare nel mondo del lavoro perseguendo la strada per cui ho studiato. Nel corso della mia vita ho viaggiato molto e l’anno scorso sono riuscita ad andare in Svezia con il programma Erasmus per conseguire la doppia laurea.
Quali studi hai fatto?
Il mio percorso di studi è stato molto lineare, ho iniziato dal liceo linguistico, poi la laurea triennale in Comunicazione Internazionale e Pubblicitaria all’Università per Stranieri di Perugia e ora sto per terminare la doppia laurea in Relazioni Internazionali e cooperazione allo sviluppo con Master in African Studies presso la Dalarna University a Falun (Svezia).
I tirocini curriculari offrono la possibilità agli studenti di approcciarsi e misurarsi con il mondo del lavoro. Tu hai scelto di collaborare con la nostra organizzazione perché ciò che ti interessa è il profilo della progettazione. Quali erano le tue aspettative?
Avevo delle aspettative molto alte…avevo voglia imparare, capire come funziona il mondo della cooperazione e come lavora una ONG. Oggi posso dire che le mie aspettative non sono state deluse, anzi, mi hanno fatto capire che l’idea che avevo della progettazione prima di iniziare era semplicistica. Probabilmente ciò che manca nei nostri percorsi di studio sono dei momenti dedicati alla pratica, infatti, arrivata a Tamat ho dovuto imparare velocemente e forse l’impatto è stato un po’ “brusco” dato che io non avevo mai fatto progettazione concretamente….all'inizio ero un po' disorientata, ma poi ho iniziato a capire come funziona e sto imparando continuamente. Devo dire che il tirocinio mi ha aperto gli occhi su cosa significhi lavorare nel mondo della cooperazione e allo stesso tempo ha rafforzato il mio interesse per il profilo della progettazione.
Crescere e vivere in Italia ma non esserne cittadini, una storia che accomuna molte persone nel nostro Paese. Avresti voglia di raccontarci quali sono, se ci sono, le difficoltà e qual è invece il valore aggiunto di vivere questa condizione?
Il valore aggiunto che mi viene in mente immediatamente è il fatto che si hanno due culture, più tradizioni e si parlano più lingue…queste sono le cose che, almeno nel mio caso, ho apprezzato fin da quando ero piccola e tutt’ora trovo positive perché mi piace condividerle con gli altri e spero che un giorno possa trasmetterle ai miei figli e alla mia famiglia.
Da bambina e poi da adolescente essere straniera non mi è mai pesato tanto, anche se non ho mai capito per quale motivo alle elementari e medie mi inserivano sempre nel corso di recupero di Italiano (sorride). Solitamente in questi corsi venivano inseriti solo i ragazzi stranieri della scuola ma solo pochi di noi ne avevano davvero bisogno.
Ora da adulta, sia entrando nel mondo universitario e sia nei miei vari tentativi di entrare nel mondo del lavoro, non essere cittadina italiana è iniziato a pesarmi. Non essere italiana per me significa per esempio che non posso partecipare al bando per il tirocinio del MIUR, di conseguenza sono esclusa da esperienze di tirocinio in ambasciate e simili, che non posso inviare il CV per determinati lavori perché bisogna per forza essere europei... anche per partecipare al programma Erasmus e riuscire a partire per la Svezia ho dovuto produrre e tradurre svariati documenti, per non pensare alla lunga attesa ogni volta che rinnovo il permesso di soggiorno in Italia.
La diaspora ecuadoriana a Perugia: che ruolo ha la comunità nella vita dei loro membri?
Parlare di questo argomento mi risulta un po' complicato. Posso raccontarlo solo dal mio punto di vista. Mi sembra che rispetto alle altre, la comunità ecuadoriana sia poco unita…per esempio chi proviene dal Perù o dalle Filippine tende a conoscere gran parte dei membri della propria comunità presente nella propria zona di residenza. Ciò non significa che si sia isolati, ma che si tende ad vivere in cerchie ristrette, piccoli gruppi. Ogni storia è a sé però, per esempio i miei genitori hanno sempre avuto molti amici latinoamericani, invece io no: ho 2 amiche ecuadoriane e una sola peruviana. Penso che aver vissuto sempre poco la mia comunità dipenda fortemente dal tipo di scelte che prima la mia famiglia e poi io in prima persona abbiamo compiuto: arrivata in Italia da bambina non ho vissuto molte delle difficoltà che potrebbe incontrare una persona straniera che arriva in Italia da adulto, basti pensare alla sola difficoltà linguistica. Ho frequentato qua tutte le scuole, l'italiano è la mia lingua madre. Per me è più facile parlare e scrivere in Italiano che in spagnolo nonostante conosca bene anche questa lingua. Inoltre dell'Ecuador non ho molti ricordi, non ci ho mai davvero vissuto se non quando ci andavo in vacanza. Probabilmente sono questi i motivi per i quali non ho mai creato legami solidi con la comunità ecuadoriana di Perugia.
Però devo ammettere che nonostante io non la viva molto, quando ho potuto, ho partecipato agli eventi organizzati sia in occasioni di festa sia di solidarietà, per esempio quando si aiutano le famiglie per un loro caro malato o che è venuto a mancare. Ho notato che soprattutto questi ultimi casi sono quelli che uniscono di più la comunità ecuadoriana, si partecipa e collabora anche se non si conosce la persona (io non ho mai conosciuto la persona per cui ci si riuniva).
L'Ecuador è un paese cattolico, molte delle sue feste tipiche sono legate al calendario liturgico. Una festività particolarmente vivace è il Giorno dei morti, il 2 novembre. Con la tua famiglia, qui in Italia, portate avanti qualche tradizione del vostro Paese di origine?
Durante questo periodo ci si riunisce e facciamo, quando possibile, la colada morada. Si tratta di una bevanda dal colore viola scuro, fatta con la farina viola di mais, l'ananas, i frutti di bosco, fragole, arancia, anice stellato, varie foglie aromatiche...e tanto altro (sorride). E' una bevanda calda che si beve con il pane fatto in casa o con le guaguas de pan (parola che deriva dalla lingua degli incas), ma queste sono complicate da fare in casa (sorride ancora) e quindi non le abbiamo mai fatte. Mantenere vive queste tradizioni permette alla mia famiglia e ai loro amici latinoamericani di sentirsi in qualche modo più vicini a casa.