Dal Burkina Faso al Mozambico, storie in cui l’accesso all’acqua e la possibilità di utilizzare energie rinnovabili hanno consentito a comunità locali di svilupparsi nel segno della sostenibilità

Burkina Faso donne del villaggio di Lao Antonino Condorelli

 

“L’acqua qui è un bene prezioso. Prima era un problema, adesso, grazie a un pozzo di 70 metri di profondità e a una pompa idraulica alimentata anche con un pannello solare, abbiamo tre metri cubi d’acqua all’ora, ogni giorno dell’anno”: servono poche parole a Clement Ilboudo per far capire come la vita di 600 abitanti del villaggio di Lao sia completamente cambiata rispetto solo a pochi anni fa.

Clement, figlio del capo di questo villaggio disperso nelle campagne del comune di Komki Ipala, a sud di Ouagadougou, la capitale del Burkina Faso, è il coordinatore di un’associazione di agricoltori beneficiari di un progetto finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (Aics) e condotto sul campo dalla ong perugina Tamat.

Il progetto si chiama Rasad, acronimo per Reti d’Acquisto per la Sicurezza Alimentare, viene condotto con il supporto della Diaspora burkinabé d’Italia, e oltre a quello idrico, tocca altri ambiti, con un obiettivo chiaro: contribuire alla sicurezza alimentare e allo sviluppo socioeconomico. “Tutto però nasce dall’acqua” dice ancora Clement indicando la vasca che raccoglie l’acqua prelevata dalla vena sottostante, mentre intorno si muovono le donne del villaggio.

“Nelle aree rurali in diversi villaggi dei comuni di Koubri, Komki Ipala, Komsilga, Loumbila e Tanghin Dassouri, il progetto sostiene il passaggio da un’agricoltura ‘classica’ – connotata da un largo impiego di concimi e pesticidi chimici – a un’agricoltura ecologica, mediante la formazione di 600 agricoltori sulle tecniche agroecologiche e di lotta fitosanitaria” spiega Denisa Savulescu, energico capo progetto di Rasad per Tamat. Il progetto, sottolinea ancora Savulescu – marchigiana d’adozione con una storia personale che rimanda alla Romania e alla Turchia – prevede la realizzazione di pozzi all’interno dei siti di produzione, l’assistenza tecnica continua garantita da un agronomo e, grazie alla collaborazione di Enea e dell’Istituto dell’ambiente e della ricerca agricola del Burkina Faso, la stesura di una ricerca scientifica e lo sviluppo delle tecniche agroecologiche e di lotta fitosanitaria. “L’intero progetto – aggiunge ancora Savulescu – si basa sulla logica dell’agricoltura contrattuale, ossia la creazione di un contatto diretto tra produttori e consumatori, sfruttando anche le potenzialità della diaspora”.

Se la prosperità a Lao ha preso la forma di un pozzo per l’acqua utilizzabile tutto l’anno, qualcosa di simile è avvenuto alcune migliaia di chilometri più a sud, a Mafuiane, villaggio agricolo a una quarantina di chilometri da Maputo, la capitale del Mozambico.

 
 

Qui è un’altra ong italiana, l’Associazione Universitaria per la Cooperazione Internazionale (Auci), in collaborazione con la parrocchia romana di San Frumenzio, ad aver ripreso un vecchio progetto in campo idrico della Cooperazione Italiana, potenziandolo con nuovi fondi messi a disposizione da Aics. Nel 1994, fu proprio la Cooperazione Italiana a realizzare un sistema di irrigazione a beneficio di circa 200 contadini riuniti nell’associazione Regantes de Mafuiane. “Ancora oggi l’acqua viene pompata dal fiume Umbeluzi – dice Diego Casoni, referente del progetto di Auci – e l’intero sistema di irrigazione è stato di recente interessato da interventi di miglioramento all’interno di un progetto finanziato dall’Ifad-Prosul e portato avanti dal governo di Maputo. Da parte nostra, stiamo estendendo la rete di irrigazione ad altri 30 ettari (rispetto ai 200 ettari iniziali), stiamo introducendo su una quindicina di ettari il sistema goccia a goccia e abbiamo dotato le strutture dell’associazione dei contadini di una cella frigorifera, di un impianto fotovoltaico e di nuovi mezzi”, allo scopo di riqualificare il sito come polo di sviluppo agricolo.

La grande ambizione di Auci è coinvolgere il settore privato italiano nel campo della trasformazione agroalimentare per far fare un ulteriore salto di qualità alla comunità locale: “A 40 chilometri di distanza – sottolinea ancora Casoni – abbiamo un potenziale mercato di tre milioni di persone ed è per questo motivo che stiamo cercando di creare sinergie con aziende italiane interessate a sviluppare attività in Mozambico. Anche alla luce delle innovazioni introdotte dalla nuova legge sulla cooperazione, pensiamo che l’expertise italiana nel comparto della trasformazione agroalimentare possa portare benefici a tutti gli attori coinvolti”.

Storie come quelle del Burkina Faso e del Mozambico riportano a quel nesso tra acqua, cibo ed energia che è stato fatto proprio e sviluppato da alcune componenti della comunità internazionale e in particolare da UN Water e Fao. Un collegamento – più noto in inglese come Water, Food, Energy Nexus – che parte da un semplice quanto naturale presupposto: accesso all’acqua, disponibilità di energia e sicurezza alimentare sono fattori talmente collegati che qualunque azione su uno di questi elementi ha un riflesso immediato sugli altri due. Il ragionamento su questo nesso, pur essendo stato sviluppato da qualche anno (almeno a partire dal 2011), sta in realtà entrando adesso nell’agenda di chi poi è chiamato a prendere decisioni e di recente è stato ripreso da UN Environment quale elemento cardine su cui impostare determinate azioni. Anche la Fao, cioè l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, ha fatto proprie queste considerazioni: Water, Food, Energy Nexus riporta in primo luogo all’agricoltura e a un suo sviluppo sostenibile in cui – e questo è ormai ripetuto in tutti i consessi internazionali – è necessario coinvolgere il settore privato così come le associazioni contadine e le cooperative, oltre che i vari attori della cooperazione internazionale.

Proprio sulla necessità di alimentare questo dialogo costruttivo, di recente l’Unione Europea e l’Unione Africana hanno fornito i risultati finali della Task Force for Rural Africa.

Avviata a maggio 2018, la Task Force ha riunito esperti africani ed europei con l’obiettivo di individuare strade per una più proficua cooperazione tra Europa ed Africa nel settore agricolo, un settore strategico e decisivo per il futuro del continente africano anche per la forza lavoro che impiega e le rimesse che riesce a generare, oltre agli effetti determinati in termini di sicurezza alimentare rispetto a una popolazione in forte crescita demografica.

Secondo le raccomandazioni fatte proprie dagli autori del rapporto che per due giorni a Bruxelles hanno illustrato il lavoro svolto, Africa e Unione Europea dovrebbero elaborare una partnership in grado di operare su tre livelli: people to people, business to business e government to government. Un dialogo multilaterale e a più livelli che parta localmente, dalle associazioni di base, e che renda possibili più strette connessioni tra le società, le imprese e i governi di Africa ed Europa.

Su questo concetto, secondo molti osservatori, poggia il raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile fissati dalla comunità internazionale.

“Il rapporto della Task Force – ha detto Josefa Sacko, commissaria dell’Unione Africana all’Economia rurale – riconosce che Africa ed Europa sono partner globali di uguale rilievo. E dimostra che i contadini e l’industria agroalimentare devono lavorare mano nella mano per cogliere le nuove opportunità che saranno offerte della nuova Area di libero scambio del continente africano e per costruire insieme quei mercati regionali necessari all’Africa per la propria sicurezza alimentare nel lungo termine”.

Questo interesse per una cooperazione in campo agricolo dai toni nuovi è stato ribadito dal commissario europeo all’Agricoltura Phil Hogan, il quale ha sottolineato come tra le raccomandazioni del rapporto ci siano appunto quelle di spingere gli investimenti pubblici e privati, condividere esperienze e competenze, rafforzare la cooperazione. Per il commissario europeo allo Sviluppo internazionale e alla cooperazione, Neven Mimica, “dipende da noi lavorare insieme per portare avanti le preziose raccomandazioni della Task Force e individuare soluzioni che possano consentire di raggiungere i risultati attesi, ovvero una trasformazione rurale positiva e un settore agricolo e agroalimentare inclusivo e sostenibile”.

Traguardi ambiziosi, quelli fissati a Bruxelles, cui si può arrivare se le varie componenti strategiche del nesso acqua, cibo, energia saranno sviluppate.

D’altra parte, come sottolineato da UN Water, l’agricoltura è il principale consumatore di acqua nel mondo (per la Fao il 70% dell’acqua disponibile serve a produrre cibo) e più di un quarto dell’energia impiegata a livello globale è legata alla produzione e alle forniture di prodotti alimentari. Di conseguenza, maggiore è l’attenzione riservata all’impiego di acqua ed energia per la produzione di cibo, maggiore sarà il grado di sostenibilità.

Ecco allora che la pompa idraulica utilizzata nel piccolo villaggio di Lao, in Burkina Faso, e alimentata da pannelli solari, o il sistema di irrigazione a goccia di Mafuiane, in Mozambico, diventano esempi e modelli di sviluppo sostenibile.

 

articolo tratto da OLTREMARE

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